Mario Carnicelli, il fotografo delle folle, come lo chiamano, classe 37 nato ad ATRI, in provincia di Teramo, cresciuto a Pistoia, ancora in attività, si racconta a Moltouomo.it in una intervista inedita.
Il suo arrivo parte da una storia nata nella Seconda Guerra Mondiale, quando la sua famiglia viveva ad Atri e suo padre aveva un bel negozio di fotografia. Al momento della liberazione ad Atri arrivò un contingente dell’esercito polacco guidato dal Generale Władysław Albert Anders. Anders sapeva dell’attività a favore della resistenza fatta da mio padre e lo osteggiò così tanto nel lavoro da fargli chiudere il negozio per trasferirsi a Verona. Inizialmente fu ospitato da due amici fotografi come lui, ebrei, che aveva aiutato a nascondersi dai nazisti durante la guerra. In seguito, tramite alcuni parenti, seppe di un negozio di fotografia in vendita nella città di Pistoia e si trasferì nel luogo con tutta la sua famiglia.
Possiamo ben dire che Mario Carnicelli è un figlio d’arte e pistoiese d’adozione!
Come professionista ha lavorato e viaggiato in Italia e all’estero, collaborando a quotidiani e riviste importanti ed esponendo in mostre personali e collettive anche in Europa e negli USA.

Si definisce un fotografo delle folle. Eventi, manifestazioni, proteste, lui è sempre stato presente e ha cercato attraverso l’individuo di riprodurre i sentimenti del momento.
Sig. Carnicelli, la ringraziamo a nome della redazione di Moltouomo.it per aver concesso questa intervista, presso il suo magico archivio, un luogo che contiene tutta la tua storia professionale. Non possiamo fare a meno di domandarle come è avvenuta la sua partecipazione come fotografo al funerale di Togliatti nel 1964, avvenimento importante per tutta l’Italia e anche per lei.
Lo ricordo bene. Un milione di cittadini in piazza a Roma e il feretro esposto in Via delle Botteghe oscure. Fui contattato dall’allora PCI sezione di Firenze, perché ero già famoso come il ‘fotografo delle folle’.
Fu in via delle Botteghe oscure che incontrai Guttuso. Faceva il picchetto d’onore accanto al feretro. Scambiammo appena due batture ma era molto incuriosito dalle mie macchine fotografiche e dal mio lavoro. Fu molti anni dopo che scoprii che ero finito nel suo quadro “Il funerale di Togliatti” una magnifica opera eseguita con la tecnica del collage, dove dietro i grandi personaggi prima del mare di folla appare un fotografo: sono proprio io.
Dall’esperienza è nata la serie di fotografie” C’era Togliatti”: bianco e nero, volti preoccupati, pugni serrati, sgomento. Ho cercato di cogliere il sentimento di quel momento particolare attraverso la folla, la semplice gente.
Questa serie di fotografie non finisce di stupirmi. A distanza di anni e dopo molte mostre, nel 2022 mi ha condotto a vincere il PRIX VIVIANE ESDERS, a Parigi, con una giuria d’eccezione tra cui l’attrice Charlotte Rampling che si è innamorata delle mie fotografie.

Quali sono i luoghi che ha fotografato che le hanno regalato più soddisfazione?
Sicuramente gli Stati Uniti. Ci sono stato in vari anni. Ero giovane ma avevo già una mia idea del luogo: tutto era grande, tutto era colorato. Era il luogo ideale dove trovare la mia ispirazione.
Quale è stata lo’ scatto’ più difficile? La fotografia che lo ha impegnato di più tecnicamente ed emotivamente?
Pensandoci bene sono state le fotografie scattate all’Ammiraglio Karl Doenitz. Era stato capo di Stato Maggiore dopo la morte di Hitler. Fu processato a Norimberga e condannato a dieci anni di reclusione che trascorse a Spandau. Dopo circa cinque o sei anni dalla sua uscita da Spandau venne a fare i fanghi alla Grotta Giusti di Monsummano Terme. Luogo che conosceva bene perché era stato sede del Comando di Kesselring. La cittadinanza quando lo venne a sapere insorse; la stampa e i curiosi si assieparono dinanzi allo stabilimento termale. Io, insieme ad un giornalista del Corriere della sera, aspettavo di poterlo fotografare, e stemmo ore e ore ad aspettare. Poi, ad un tratto, ci accorgemmo della partenza di un autobus dalla Grotta Giusti e subito intuimmo che fosse lui che si allontanava in incognito.
Fu mia l’intuizione della direzione dell’autobus verso Pisa. Lo trovammo con la moglie in Piazza dei Miracoli e finalmente feci molti scatti. Fu consegnato tutto ai quotidiani e alle riviste, coì non mi è rimasto neppure un negativo!

Cosa non è riuscito a fotografare nella sua carriera ma che avrebbe fortemente voluto?
Don Milani. Per me è una figura che ho nel cuore. Nei giorni della polemica di Don Milani con il Vaticano io ero impegnato nelle vicende dei Celestini a Firenze e non potetti andare a Barbiana. Il servizio su Don Milani lo fece invece un giovanissimo Oliviero Toscani.
Quali sorprese può ancora riservare il suo storico archivio?
Il più e il meglio hanno ancora da venire. Con la pubblicazione del libro fotografico “NOUS”, una parte si è già vista, ma il mio desiderio è di pubblicare un libro completo di tutto, e con le fotografie a cui io tengo maggiormente.

Cosa pensa del livello attuale della fotografia?
Il sentiero della fotografia, se così posso dire, non è più sulla pellicola. Io mi sento in bilico nella scelta. Il digitale si apre a mille possibilità. La fotografia su pellicola invece è come un romanzo giallo: non si sa mai come va a finire. Le fotografie su pellicola si studiano, si pensano e l’attesa è il momento più bello: si mandano a sviluppare e si aspetta che ritornino.
Oggi le immagini invadono i social e internet. Le fotografie stampate sono un’altra cosa.
La fotografia non è del fotografo ma di chi la guarda. La foto è un’opera. Va toccata, guardata, rigirata. Va scartata e poi rivista, e ripresa.
Questo consiglio anche ai giovani fotografi. Non buttare il materiale scattato, ma riporlo in archivio e poi riprenderlo dopo un po’ di tempo ed esaminarlo di nuovo per dargli una nuova vita.