“Mexico e nuvole…” e tequila. E nasce il Margarita.
Scoprii il Margarita tanti anni fa, in un locale della mia città, Verona. Pochi metri quadri, affacciati sull’Adige e avvolti dalla nebbiolina di fine autunno.
Era un tuffo, uno dei primi, nel mondo del tex mex. Servivano un chili incandescente, ottimo per sconfiggere l’umidità che entrava nelle ossa. Il pane nero aiutava a sopravvivere al piccante.
Ma l’incontro sorprendente di quella sera, uscita dal lavoro, fu con la bevanda che accompagnava il piatto: un misto di alcool, dolce e, al contempo, secco, che andava giù come una fucilata ma lasciava in bocca un bouquet di sapori che arrivavano, scanditi, fino al salato. E una sorta di freschezza, che stemperava la bocca in fiamme a causa del chili.
Margarita, un cocktail a base di tequila, passione e armonia
Fu quello il mio primo incontro con il Margarita che, da allora, considerai l’unico cocktail che valesse la pena gustare e che sanno, davvero, fare in pochi.
E la cosa strana è proprio questa, perché si tratta di uno dei drink più famosi al mondo e vanta una letteratura infinita a descriverne le origini, le versioni, le ricette. Eppure…
Sarà, forse, colpa del fatto che richiede alcuni ingredienti che non si possono comprare: ci vogliono cuore e armonia, in chi lo prepara e in chi lo gusta. E’ un mix di alcool e di amore, di sale e passione: la tequila, l’agave, il cointreau e il lime beh, quelli vengono dopo.
Il segreto di questo cocktail spettacolare è proprio tutto nell’equilibrio ed è per questo che è estremamente difficile trovarne uno che rispetti ogni singolo ingrediente e ne bilanci l’insieme, pensando a te, che te ne stai lì con il tuo bicchiere in mano. Perché il Margarita non è un drink come gli altri. Ti fa compagnia, lo sorseggi lentamente, assaporandone ogni sorso, lasciandolo scivolare in gola, con quella sensazione che subito brucia e poi lascia solo freschezza. Un po’ come se stessi disinfettando una ferita nascosta dentro. E invece di saturare i sensi, annebbiandoli, li apre. Il gusto si amplifica ed è ancora più sensibile, pronto a reagire ad altri stimoli. E non ha una stagione: caldo o freddo, estate o inverno, con la nebbia o il sole: ogni momento è fantastico. Come si suol dire, ecco un compagno buono per tutte le stagioni.
Cocktail Margherita: pochi ingredienti e tanto, tanto, tanto equilibrio
Il Margarita sublima la tequila, il distillato dell’agave blu, di cui esalta il sapore secco, piccante, con un aroma molto intenso. Per un cocktail da ricordare, la migliore tequila da impiegare è quella bianca, che non smorzi gli eccessi gustativi con ingredienti meno intensi. E proprio lei, la tequila a fare il lavoro duro: dev’essere in grado di reggere tutti gli altri sapori, quindi non può dare segni di cedimento alcuno.
Per la parte fruttata, non fidatevi di altri agrumi che non siano lime o, in extremis, limone e, se vi propongono un Margarita con il succo d’arancia, cambiate immediatamente bar.
La sfumatura di arancio è garantita dal Cointreau, quindi evitate qualunque altro TripleSec: risparmiare va bene, ma non su un cocktail così. Non serve un succo d’arancia alcolico, serve un vero liquore che dia solo una punta di dolcezza e che abbia una struttura propria, così da non dover rubare quella degli altri ingredienti.
Infine, il nettare di agave, il succo concentrato. Non distillato, naturalmente: per quello, c’è già la tequila. E il sale, kosher, a detta degli esperti, cui tocca il compito di contrastare l’acidità del lime.
Si parlava di equilibrio e questi ingredienti la dicono lunga nel merito. Ognuno di loro ha una propria funzione e sono tenuti insieme dall’armonia: la forza e l’aroma vengono dalla tequila; la dolcezza e la morbidezza dal liquore all’arancia, mentre al lime (o limone, se proprio non si trovasse altro) si deve quel quid di pungente e di asprigno; il nettare di agave contribuisce con un pizzico di forza in più, per sottolineare il bouquet della tequila. Infine, tocca al sale svolgere non una, bensì due funzioni: da un lato, bilanciare il gusto del lime e, dall’altro, trattenere i liquidi, aspetto indispensabile se nasci in Messico e devi sopravvivere a una temperatura che va a braccetto con i 40°. Qualcuno aggiunge un paio di gocce di angostura, talvolta, per una introdurre una nota speziata. Ma, francamente, se ne può fare anche a meno.
Non ama le mezze misure e non può piacere a tutti, solo ai migliori.
Il bicchiere è largo, magari anche a coppa ma – sempre e comunque – ghiacciato. Niente da pestare o da frullare, ma solo da shakerare con vigore.
In sintesi, sono 50 ml di Tequila, 25 ml di Succo di Lime, 10 ml di Cointreau, 10 ml Nettare (o succo concentrato) di Agave, un pizzico di sale. Infilate tutto nello shaker con il ghiaccio e agitate, agitate, agitate. Poi filtrate il vostro cocktail e versatelo in un bicchiere con il bordo passato nel sale e guarnito da una fetta di lime.
Non abbiate paura di godervelo mangiando: più sarà saporito il cibo che portate alla bocca e più il vostro Margarita ve ne sarà grato. E voi con lui, stretti in un legame complice. E’ un compagno per pochi, questo cocktail: è diretto e sincero, senza mezze misure.
Ogni volta che la fantasia – o il delirio – dei bartender ha cercato di smussarne gli effetti, ne sono derivati ibridi che accontentano palati più facili da soddisfare. Ne sono nate versioni dolci, colorate, addirittura semi analcoliche: ma sono tutte bugiarde. Non è certo quello addomesticato, il cocktail che ha conquistato il cuore di uomini come Elvis Presley (pare che fosse il suo drink preferito) o di George Clooney. E, forse, è proprio per questo che, ogni 22 febbraio, si alzano i bicchieri per il Margarita Day: per celebrare un cocktail che è diventato un simbolo, un’icona, un modo di sentire il mondo e la vita.
E’ un drink profondamente onesto: chi lo cerca sa esattamente cosa chiedere ad un cocktail e non si accontenta di nulla di meno. Solitamente sono uomini e donne di carattere e, per definizione, si dice che chiunque abbia un carattere, ce l’abbia davvero brutto. E ne vada orgoglioso, vien da aggiungere.
La storia di questo stupefacente drink ha mille origini ed ognuna rivendica la propria fetta di verità ma, tutte, hanno in comune il fatto che sia stato creato in onore di una donna. Che fosse Marjorie King, una starlette del Zigfield Follies che si esibiva in Messico ed era allergica agli alcolici, (tutti, tranne al distillato di agave). Oppure che fosse la cameriera di un bar di Tijuana, Margarita Cansino – meglio nota al mondo come RIta Hayworth. O, ancora, che si trattasse di un omaggio alla cognata, nel giorno delle nozze, di uno dei barman che ne rivendica la paternità, poco importa. In ogni leggenda che si rispetti, il bello sta proprio nel non indagare troppo e scegliere la versione che più ci aggradi. Qualcuno l’ha anche definito il miglior cocktail dressed mai creato: come dire che, con quello in mano, l’abito diventi un puro dettaglio, qualunque sia la portata dell’evento.
Fate un po’ voi… E’ stato detto (e scritto) di tutto, su questo drink. Alcune cose sono esagerazioni, altre pure invenzioni. Ma, su un fatto, siamo tutti d’accordo: non esiste niente di simile.
Quindi, cari lettori, forse voi non lo sapete ancora ma, questa sera, avete un vecchio amico, per cena. Fategli onore con un brindisi. Il Margarita è vivo e lotta insieme a noi.