Nel silenzio dello studio, tra l’odore dell’argilla ed il suono della saldatura, nasce qualcosa che non ha tempo…
Domenico Sepe, scultore napoletano, non lavora con le scadenze: lavora con l’eternità. Le sue mani trasformano la materia in emozione, il vuoto in presenza, il blocco in spiritualità.
«Quando inizi un’opera, sai quando nasce, ma non sai quando muore»
Domenico Sepe, ai microfoni del nostro podcast.
Per Domenico Sepe la creazione non è un processo produttivo, è un dialogo. È il passaggio da materia a materia con anima. Ogni statua, ogni volto, ogni corpo modellato porta con sé la memoria della trasformazione. Il ferro diventa scheletro, la rete si intreccia, l’argilla riveste e poi l’opera comincia a parlare.
Non c’è fretta in questo mestiere, per Domenico Sepe la scultura ha bisogno di rispetto. Non si può dettare il tempo alla bellezza.
«Se ti dai una scadenza, stai già fallendo», dice con chiarezza. La sua è una visione pura, quasi sacrale, del fare arte.
Ma oggi l’arte è diventata anche mercato. E lui lo denuncia senza mezzi termini. «Oggi si compra arte come si compra un investimento. Non si sceglie un’opera, si sceglie un prezzo», afferma.
Domenico Sepe critica apertamente la superficialità di alcune scelte contemporanee, citando il caso simbolico della banana di Cattelan attaccata al muro.
«Quella non è arte, è una provocazione. Eppure l’hanno comprata.»
Per lui l’arte vera non si abbina al divano, non si adatta a un salotto. L’arte è un linguaggio, e chi acquista un’opera autentica, sceglie un pensiero, un messaggio, qualcosa che resta. Non conta il costo, conta il significato.
«Che costi cento euro o un milione, chi compra arte sta acquistando qualcosa che rimane per sempre.»
In un’epoca che corre, Sepe rallenta. In un mercato che grida, Domenico Sepe scolpisce il silenzio. E lo trasforma in forma, volume, materia viva.