L’amore distratto

Ne “L’amore distratto” di Francesca Incandela, Ed. Libridine, un uomo ritrova sè stesso mentre si consuma il rapimento di Denise Pipitone

L'amore distratto, copertina

L'amore distratto, Francesca Incandela. Photocredit Ed. Libridine,

L’amore distratto è l’ultimo nato dalla penna di Francesca Incandela, autrice già piuttosto nota per aver dato alle stampe “Donne di mafia”, titolo decisamente evocativo del suo contenuto ed entrambi editi dalla casa editrice indipendente Libridine di Mazara del Vallo.

È, invece, difficile comprendere, dal titolo, dove ci porterà “L’amore distratto” di Incandela.

Sullo sfondo, una vicenda  che chi scrive conosce molto bene, anche se, alla fine, è solo un pretesto per disegnare il viaggio, andata e ritorno, degli esseri umani al loro personale e privatissimo inferno.

Il rapimento della piccola Denise Pipitone fa da sfondo al libro “L’amore distratto”

Bisogna portare indietro le pagine del calendario di circa vent’anni, al 2004, e tentare di ricordare una delle pagine di cronaca più tristi che mai siano state scritte e lette: la scomparsa di Denise Pipitone.

 Nel romanzo di Incandela, nessun riferimento diretto alla vicenda, rimasta ancora senza soluzione e senza notizia alcuna della donna che, 19 anni fa, allora bambina, scomparve nel nulla. Neppure il processo, che si tenne ai danni della sorellastra, sortì alcun effetto. Nessun colpevole, nessun  responsabile.

Incandela, nel suo “L’amore distratto”, trova in questa vicenda agghiacciante lo sfondo per il suo racconto: cambiato il nome della città, che diventa Casale, cambiati i nomi dei veri protagonisti, cambiati i nomi dei luoghi, delle vie, cambiato persino il nome del sindaco dell’epoca, Francesca Incandela ci fa incontrare, nei primi giorni della scomparsa della piccola, i suoi attori. Immaginari, ma non troppo.

Il fatto di cronaca come pretesto per raccontare la “distrazione dalla vita” del protagonista

Non è immaginario Walter Corsini, il giornalista protagonista della storia: dentro ci sono i brandelli di ognuno di noi, vincitori a giorni alterni, vigliacchi gli altri. Non è immaginaria la moglie di lui, Sara, vittima e carnefice di sé stessa, come ognuno di noi del resto, alla quale va un un solo merito: quello di accompagnare, per mano, il marito nel proprio viaggio all’inferno, proprio come Virgilio accompagna Dante nella Divina Commedia. Con una enorme differenza, però: Virgilio è un compagno di viaggio, per Dante. Sara, invece, è il motivo apparente del viaggio stesso. Ed è sempre lì, accanto e dentro Walter, in tutte le pagine del romanzo, in un alternarsi di amore, stanchezza e banalità accettate come ineluttabili.

Infine Delfina,  la finestra sull’orrore, il punto di non ritorno. Tutto il male e tutto il peggio subiti e, allo stesso tempo, divorati, cannibale di sé stessa. Non v’è traccia di redenzione, né di pietà. Solo compassione per il dolore che non purifica e non santifica. E’ solo, inevitabilmente, dolore. E non finirà.

L’essere umano spaccato in tre parti che, a loro volta, si sbriciolano per effetto di quel vento di scirocco che soffoca, che fa chiudere le persiane e persino la bocca per proteggersi dalla sabbia che si fissa sulle labbra. A pensarci bene, forse il vero protagonista de ”L’amore distratto” è proprio lo scirocco, distratto più di tutti e, di conseguenza, causa inconsapevole dei disastri che provoca all’anima.

Uno spaccato delle contraddizioni umane: amore ed indifferenza, crudeltà e compassione

Uno dei pochi nomi reali del racconto di Incandela è quello di chi scrive, cronista all’epoca dei fatti e di buona parte dei fattacci che costellarono la vita di quella città negli anni di cui tratta “L’amore distratto”. L’altro è quello di Anna Boiardi, collega con cui chi scrive ha collaborato, proprio nel merito della scomparsa della piccola Denise.

E tutti i riferimenti citati da Francesca Incandela nella storia di Walter, di Sara e di Delfina, ebbene quelle immagini sono ancora tutte lì, nella mente di chi scrive. Il giorno in cui tutto cominciò, i pettegolezzi mormorati a mezza voce, l’assedio sotto casa dei genitori della piccola, la vita sbranata della madre di Denise e data in pasto a tutti,  nella speranza di cancellare la paura dietro all’ipocrisia che fa dire “se l’è andata a cercare”.

Lo scenario perfetto per i protagonisti del racconto di Incandela: tutti vittime, tutti aguzzini, tutti angeli vendicatori, tutti giusti, tutti sbagliati. Tutti troppo distratti per riconoscersi nei tanti noi stessi che la vita ci fa incontrare, ogni giorno, ad ogni angolo di strada.

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