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Addio a Stefano Benni, il cantastorie che ha reso l’Italia più intelligente.

È morto oggi a 78 anni lo scrittore bolognese che con la sua penna ha saputo raccontare l’umanità in tutte le sue sfaccettature, dall’ironia più sottile alla tenerezza più profonda

Stefano Benni ci ha lasciati. E con lui se ne va una delle voci più autentiche della letteratura italiana contemporanea, quella di un uomo che ha saputo guardare il mondo con gli occhi di un bambino curioso e la saggezza di un vecchio saggio. Un cantastorie che ha reso l’Italia più intelligente, una parola alla volta.

Nato a Bologna il 12 agosto del 1947, Benni ha attraversato mezzo secolo di storia italiana con la leggerezza di chi sa che solo sorridendo si può sopportare il peso dell’esistenza. Ha iniziato la sua carriera nei mitici anni Settanta, quando tutto sembrava possibile e la cultura era ancora un bene comune, non un privilegio per pochi.

“Bar Sport”, pubblicato nel 1976, è stata la sua prima grande opera, quella che lo ha consacrato al grande pubblico.

Ma che libro era, “Bar Sport”? Era l’Italia che si raccontava da sola, senza filtri, senza maschere. Era la cronaca di un paese che cambiava, visto dal bancone di un bar di provincia dove si mescolavano sogni e disillusioni, speranze e frustrazioni.

Il playboy va al bar una sera sì e una sera no. Questo per il fatto che deve raccontare agli amici. il venerdì sera, l’avventura del giovedì sera, e così via.

Benni aveva capito che per comprendere un popolo bisogna ascoltare le sue conversazioni più banali, quelle che nascono spontanee davanti a un caffè o durante una partita alla televisione.

In “La compagnia dei Celestini” del 1992, Benni ha dimostrato che si può essere colti senza essere noiosi, profondi senza essere incomprensibili.

Ha creato un teatro dell’assurdo tutto italiano, dove i personaggi diventano archetipi universali pur mantenendo i piedi ben piantati nella nostra realtà quotidiana.

Le idee sono come le tette: se non sono abbastanza grandi si possono sempre gonfiare.

Ma Stefano Benni non era solo uno scrittore. Era un osservatore acuto della società, un critico sociale che non ha mai perso la capacità di stupirsi. I suoi racconti brevi, le sue poesie, i suoi romanzi erano specchi in cui ogni italiano poteva riconoscersi, ridere di sé stesso e, nel contempo, riflettere sui grandi temi dell’esistenza.

La sua prosa aveva una qualità rara: era accessibile a tutti ma mai banale, popolare ma mai populista.

Benni aveva il dono di saper parlare ai professori universitari e agli operai con la stessa efficacia, perché aveva compreso che la vera cultura non divide, unisce. Non crea barriere, le abbatte.

Il suo humor non era mai cattivo, mai gratuito. Era l’humor di chi ha sofferto e ha imparato che ridere è l’unica forma di resistenza che abbiamo contro l’assurdità del mondo. Era l’ironia di chi ama profondamente l’umanità, con tutti i suoi difetti e le sue contraddizioni.

Negli ultimi anni, Benni si era ritirato dalla vita pubblica, segnato da una lunga malattia.

Ma le sue parole continuavano a circolare, di bocca in bocca, di libro in libro, di lettore in lettore. Perché i veri scrittori non muoiono mai del tutto: vivono nelle parole che hanno regalato al mondo.

Il figlio Niclas lo ha salutato con una frase che è un programma: “Ricordate mio padre leggendo i suoi testi ai vostri amici”. E in effetti è così che Stefano Benni deve essere ricordato: non con lacrime e lamentazioni, ma con il sorriso sulle labbra mentre si condivide una sua pagina, un suo racconto, una sua battuta.

In un’epoca in cui la letteratura sembra sempre più elitaria e distante dalla vita quotidiana, Benni ci ha insegnato che si può essere grandi scrittori rimanendo uomini semplici. Ha dimostrato che la vera nobiltà non sta nel complicare la vita, ma nel renderla più comprensibile e, possibilmente, più sopportabile.

Oggi l’Italia perde uno dei suoi figli migliori, un uomo che ha saputo raccontare la nostra anima collettiva meglio di sociologi e psicanalisti. Ma Stefano Benni continuerà a vivere in ogni bar dove si discute di calcio e di politica, in ogni conversazione dove prevale il buonsenso sull’ideologia, in ogni sorriso che nasce dalla condivisione di una storia ben raccontata.

Perché, alla fine, questo era Stefano Benni: un grande narratore che ci ha ricordato che tutti, anche senza saperlo, siamo un po’ scrittori della nostra vita. E che vale la pena viverla con ironia, intelligenza e, soprattutto, con amore per i nostri simili.

Ciao, Stefano. Grazie per averci reso migliori.

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