La pastiera napoletana, tradizione e bontà in un croccante guscio di pasta frolla.

La pastiera napoletana, tradizione e bontà in un croccante guscio di pasta frolla
Credits: da virtualrob tramite Pixabay

Non c’è Pasqua che si rispetti senza di “lei”, che troneggia in tutto il suo splendore sulla tavola imbandita, pronta per essere addentata.

Immancabile in questo periodo – pur trovandosi nelle migliori pasticcerie anche durante il resto dell’anno – la pastiera napoletana è uno dei più tipici dolci partenopei, ma ha finito per “estendersi” a tutto lo Stivale, apprezzata in maniera unanime per la sua indiscutibile bontà.

Il croccante guscio di pasta frolla, da cui è costituita, racchiude infatti al suo interno un mix di ingredienti a cui non si è in grado di resistere: un ripieno cremoso e profumato fatto di ricotta, grano cotto, zucchero, latte, uova, aroma di fiori d’arancio e canditi, a cui vanno a “sovrapporsi” strisce anch’esse di pasta frolla, disposte a mo’ di reticolato. Il tutto “sistemato” in un ruoto alto circa 3-5 cm – la caratteristica tortiera in alluminio dai bordi lisci e appena appena svasati – e cotto in forno, con una spolverata conclusiva di zucchero a velo. Il risultato? Da lasciare davvero senza parole. E non è un caso, infatti, che la pastiera napoletana metta d’accordo proprio tutti, sia grandi che piccini, desiderosi di gustarla… fetta dopo fetta!

Grande attesa, allora, per questo dolce a cui, come vedremo qui di seguito, ci si dedica solitamente un po’ prima della Pasqua, perché con qualche giorno di riposo i sapori si uniscono perfettamente tra loro, conferendo al dolce stesso una consistenza meno asciutta e più cremosa. Proprio… al punto giusto.

La pastiera napoletana, un “rito” che si tramanda di generazione in generazione.

La tradizione vuole che la pastiera vada preparata il Giovedì Santo e consumata il giorno di Pasqua, affinché tutti i sapori si “uniformino” e si amalgamino per bene, come or ora anticipato. E da questa consuetudine trae probabilmente origine il nome della pastiera stessa, che deriverebbe dall’unione di pastam, ossia impasto in latino, e un suffisso di derivazione francese che vuol dire ieri. Anche se si preferisce ravvisare l’etimologia della parola “pastiera” semplicemente nella forma volgare del termine pastam.

Qualunque ne sia l’origine, comunque, una cosa è certa: la pastiera è una vera e propria “istituzione”, un dolce di cui si perpetra nel tempo la realizzazione, con relativi trucchi e segreti di famiglia per farla a regola d’arte. E tra questi “segreti” – com’è facilmente immaginabile – si “nascondono” la ricetta classica e tante alternative, tante variazioni sul tema che vanno ad unirsi alla versione dai più conosciuta e adottata. A cominciare dalla ricotta, che dovrebbe essere di pecora ma sostituibile, secondo alcuni, da quella vaccina, per proseguire poi con la cannella, il cui utilizzo è facoltativo, e con la crema pasticciera, da taluno utilizzata per rendere il ripieno maggiormente cremoso. E che dire del grano? Oggi come oggi quello precotto è il più in uso, perché più pratico, ma la pastiera può realizzarsi anche servendosi dei comuni chicchi di grano, messi a bagno in acqua tiepida per vari giorni.

E come sono tante le varianti di questo dolce pasquale la cui preparazione è un indiscusso “rito”, così sono diverse le spiegazioni alla base della nascita del dolce stesso. Quali sono le “radici” della pastiera? Qual è la genesi di questa tradizione unica? Proseguiamo insieme nella lettura e lo scopriremo.

La pastiera napoletana, tradizione e bontà in un croccante guscio di pasta frolla
Credits: Klaus Nielsen, Pexels

Tra leggenda e storia, ecco la “nascita” della pastiera napoletana.

Dolce “simbolo” della tradizione pasquale napoletana, la pastiera è per molti anche il simbolo della primavera, non solo per quanto concerne la sua realizzazione, che nei tempi passati avveniva solamente in occasione della Santa Pasqua, ma anche e soprattutto per la presenza di due specifici ingredienti, il grano cotto e l’estratto di Fior D’Arancio.

Quelle della pastiera sono origini che si perdono tra le “pieghe” della città di Napoli, tra miti, leggende cristiane e la vivace immaginazione del popolo napoletano. Origini, tutte, ricche di fascino e di suggestione, che è interessante conoscere, per “farle proprie” e “raccontarle”. Eccole qui di seguito.

La pastiera e la sirena Partenope.

Molto apprezzata e condivisa è la leggenda pagana con protagonista la sirena Partenope, che incantata dal Golfo di Napoli, decise di eleggerlo a propria dimora, allietando con canti melodiosi gli abitanti del luogo. Questi ultimi, allora, per ringraziarla, incaricarono sette delle più belle fanciulle dei villaggi di farle omaggio di sette doni: la farina (ricchezza), la ricotta (abbondanza), il grano cotto nel latte (unione del regno animale e di quello vegetale), le uova (fertilità e vita), i fiori d’arancio (profumi della terra), le spezie (popolazioni più lontane), lo zucchero (dolce canto della sirena).

Partenope gradì molto i doni ricevuti, e li mescolò dando vita al dolce che tutti noi oggi conosciamo con il nome di pastiera.

La pastiera e le sacerdotesse di Cerere.

Un’altra leggenda vede la pastiera “nascere” dal rito di Primavera celebrato dalle sacerdotesse di Cerere, durante il quale erano portati in processione le uova, il grano o il farro.

Le prime quale emblema della vita nascente e poi di “rinascita” e Resurrezione con il Cristianesimo, i secondi come ingredienti che – insieme alla crema di ricotta – traggono forse origine dal pane di farro delle nozze romane.

La pastiera e il mare.

In base ad un altro “filone”, la creazione della pastiera sarebbe legata alle mogli dei pescatori, che affinché i propri mariti tornassero a casa sani e salvi, offrirono al mare – lasciandoli sulla spiaggia – cesti pieni di grano, ricotta, uova, frutta candita e fiori d’arancio. Durante la notte, però, le onde unirono tutti i prodotti, “restituendo” il giorno successivo, oltre alle vite dei pescatori, anche un dolce già pronto, la pastiera appunto.

Sempre legata al mare è un’altra “versione” della nascita del dolce pasquale in oggetto, quella secondo cui il dolce stesso costituiva la “merenda” dei pescatori, preparata con cura dalle proprie consorti. Un piatto ricco e sostanzioso (che doveva fungere da primo, secondo e dolce), adatto ad una giornata di duro lavoro in mare, che divenne “a pasta ‘e ajer” cioè la “pasta di ieri”, da cui la pastiera.

La pastiera e il convento di San Gregorio Armeno.

Lontana dai legami con il culto pagano è la storia che vede la nascita della pastiera datata nel XVI secolo, in un convento di San Gregorio Armeno, la nota strada dei pastori nel cuore del centro storico di Napoli.

La creazione si deve ad una suora benedettina, che volle realizzare un dolce che mettesse insieme quelli che sono gli ingredienti maggiormente rappresentativi del periodo pasquale, quindi innanzitutto le uova, il grano e la ricotta. Uniti alle spezie provenienti dall’Asia ed ai fiori d’arancio del giardino del convento.

Una ricetta che ebbe ampio seguito, grazie alla maestria delle suore, dal momento che la pastiera, così preparata, era offerta in dono alle ricche famiglie borghesi della città. Per poi assurgere a vero e proprio simbolo della Pasqua all’interno della tradizione culinaria partenopea.

La pastiera e la regina Maria Teresa D’Austria.

Un altro aneddoto legato alla nascita della pastiera è quello avente come protagonista la regina Maria Teresa D’Austria, moglie del re Ferdinando II di Borbone, soprannominata “la Regina che non ride mai”. Che dopo una fetta di pastiera, mangiata su insistenza del marito, si “sciolse” in un sorriso.

Una grande sorpresa, a cui il Re reagì pronunciando queste parole: “Per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo.

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