Parigi 1900, in soli sette mesi “L’Exposition” porta nella capitale francese oltre cinquanta milioni di visitatori. È la valutazione di un secolo che andava chiudendosi e un primo sguardo su un futuro radioso e inimmaginabile: la prima linea della metropolitana scavata nel sottosuolo della città, il cinematografo, la padronanza del fenomeno elettrico.
Il linguaggio che interpreta questo moderno Rinascimento è l’Art Nouveau: il trionfo dell’equilibrio visivo, un realismo idealizzato che contamina l’accademismo delle forme con la modernità dei contenuti; un diverso ruolo della donna, una sensualità ostentata e una natura di raffinata bellezza completamente asservita alle esigenze grafiche della composizione.
In questo idillio fra tecnologia e aspirazione alla felicità, prima della rovinosa mobilitazione generale in tutta Europa, l’impressionismo aveva già esaurito la propria spinta vitale: catturare e rendere e la percezione visiva sembrava quasi superata dai prodigi tecnici dei fratelli Lumière. Proprio negli anni del primo novecento francese affonda le radici l’arte di Togo, il maestro del colore di sangue siciliano che spesso – parlando di sé – si presenta come continuatore dell’Espressionismo mediterraneo. È evidente che il suo immaginario sente il debito di una pittura quasi senza ombre, fatta di colori brillanti che raccontano il reale attraverso la voce dell’anima.
Cerchiamo quindi di conoscere gli artisti che lo hanno ispirato.
Enzo Migneco, in arte Togo, nasce a Milano nel 1937. Pochi decenni prima – a Parigi – un gruppo di rivoluzionari della pittura avevano abbandonato le rispettive professioni per immergersi nel colore: non avevano nulla in comune con quanto si poteva vedere nella capitale. Gli studi sulla visione non li appassionavano, né volevano concorrere alla formazione di quel mondo incantato e suadente che tapezzava vetrine ed eccitava l’immaginario borghese del tempo. Henri Matisse e André Derain pensavano controcorrente, il primo studiò legge e il secondo ingegneria; ambedue decisero di iscriversi all’Académie Julian che era un libero e sfrenato pensatoio, frequentato da aspiranti pittori e da giovani studentesse che non potevano accedere – in quanto donne – alla Scuola di belle arti. Un crogiolo multilingue che – a differenza dei corsi accademici – non richiedeva la padronanza della lingua francese attirando così corsisti da diverse nazioni.
Dopo l’esperienza non entusiasmante delle mostre parigine, gli incompresi Matisse e Derain si ritrovarono sulle coste meridionali della Francia a dipingere vedute, paesaggi, tutto quanto potesse attrarre la loro vorace curiosità visiva. Entrambi guardavano al vero con gli occhi dell’anima, sollecitati dai colori vividi e dalla luce abbacinante del Mediterraneo; avevano intuito ciò che né il cinematografo o la fotografia avrebbero potuto cogliere: l’emozione. Rendere la realtà meno fisica, oggettiva, per trasformarla in una relazione, un dialogo fra l’osservare e il sentire. I dipinti del 1905, “La veduta di Collioure” e “La finestra aperta” rispettivamente di Derain e di Matisse, partono dal dato concreto e rappresentano ciò che l’artista ha vissuto interiormente. Per questo motivo i colori si trasformano, per evocare in chi guarda non solo la realtà ma il rimescolamento emotivo che quel momento specifico ha suscitato.
Non è Espressionismo nordico, piegato e distorto dalla sofferenza, ha un’aspirazione alla compostezza classica, al mondo mediterraneo che per secoli ha racchiuso nel proprio scrigno l’umana ricerca del bello. Da questa intuizione evolve la ricerca di Togo che vive e ricorda gli anni di mare, la vita messinese, i soggiorni eoliani, le faticose battute di pesca subacquea nelle acque dello Stretto, parlando la lingua dell’Espressionismo mediterraneo e arrivando alla pittura dalla scuola di ragioneria, libero – come i suoi maestri – da vincoli e schemi della formazione artistica tradizionale.
Con una grande differenza nella motivazione a creare: Matisse e Derain guardano e leggono la realtà attraverso la luce e il colore, Togo ricorda e rielabora il proprio vissuto riconsegnando attraverso le opere una narrazione epica, un teatro di sole, pietra e onde entro cui muoversi.
Per saperne di più | fonte: Massimiliano Reggiani – Critica d’Arte