Per effetto dell’accordo con Microsoft il livello Pro di ChatGPT potrebbe costare 42 dollari al mese

Courtesy OpenAI

Le discussioni su ChatGPT non sembrano destinate ad esaurirsi, almeno per il momento. Anche perché il nuovo chatbox di OpenAI potrebbe essere usato in una serie di applicazioni commerciali le quali potrebbero cambiare il mercato di settori chiave.

Il primo dei quali è quello relativo alla pubblicità digitale, per effetto dell’accordo conseguito tra la società di AI e Microsoft, che sembra preludere ad un prossimo sbarco di ChatGPT all’interno di Bing. La nuova versione del motore di ricerca della società di Redmond, infatti, potrebbe integrare il programma già nella prossima versione, attesa per quest’anno. Ove ciò avvenisse, per Google le cose si complicherebbero non poco, come del resto si può capire dal tentativo di dare luogo ad sua versione di chatbox da parte di BigG.

La versione Pro di ChatGPT potrebbe costare 42 dollari al mese

Il primo effetto dell’accordo tra OpenAI e Microsoft che sembra profilarsi all’orizzonte è però un costo della versione Pro di ChatGPT pari a 42 dollari mensili. Questo, stando alle indiscrezioni girate dopo il lancio del comunicato sull’evento, sarebbe il costo dell’abbonamento mensile alla versione più rifinita del programma.
Anche alcuni utenti di Reddit hanno confermato le voci che stanno girando e, da parte di Microsoft, se ancora non sono arrivate conferme sulla cifra, sono comunque stati indicati tre vantaggi a sua giustificazione:

  • l’accesso prioritario a nuove funzioni
  • la garanzia della disponibilità del chatbox anche nel caso in cui ci sia molto traffico
  • la maggiore rapidità dei tempi di risposta.

Sembra quindi che Microsoft abbia intenzione di sfruttare al massimo la collaborazione con OpenAI e, soprattutto, di mettere a frutto il miliardo di dollari di finanziamento concessi alla società nel corso del 2019.

Il lato oscuro di ChatGPT

Intanto, però, dopo i primi entusiasmi, per ChatGPT l’accoglienza dell’opinione pubblica sembra raffreddarsi notevolmente. La discussione scatenata dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale è infatti andata a concentrarsi nel corso degli ultimi giorni sulle sue possibili ricadute su un mondo del lavoro sempre più problematico per un gran numero di individui.
L’utilizzo di chatbot, purtroppo, sembra preludere alla distruzione di altri posti di lavoro, una tematica la quale preoccupa sempre più alla luce del fatto che si va verso un massiccio utilizzo di robot nei più svariati settori.

Credits: Alan Levine

L’eccezione che propongono i fans dell’innovazione ad ogni costo è che comunque ci sarà anche la creazione di posti di lavoro connessi al processo di costruzione e gestione dei robot. La storia che arriva dal Kenya, però, sembra andare in direzione del tutto opposta a questa narrazione ottimistica.
A pubblicarla è stato il periodico Time, con un articolo in cui ha rivelato come per addestrare ChatGPT sia stato necessario utilizzare centinaia di lavoratori in Kenya. Il loro compito è stato in particolare quello di depurare il linguaggio del programma da violenza, sessismo e razzismo. Ovvero il campionario che è, purtroppo, ormai consueto sul web.

I lavoratori kenyoti sono stati reclutati in loco da una azienda californiana che ha siglato un accordo con OpenAI, il quel prevedeva la corresponsione di una paga oraria pari a 12,50 dollari. Di questi, però nelle tasche dei diretti interessati ne sono entrati al massimo due. Vere e proprie paghe da fame, almeno per i parametri occidentali, cui si sono aggiunti i danni psichici derivanti dal confronto con le tante bestialità ormai consuete online.

Quando la storia è venuta fuori è quindi tornato d’attualità il tema relativo allo sfruttamento dei lavoratori del cosiddetto Terzo Mondo. Ennesima conferma del fatto che anche la tecnologia può essere piegata all’interesse privato, a differenza di quanto teorizzato da alcuni fans dell’intelligenza artificiale. Un aspetto di cui occorre tenere conto per cercare di governare al meglio un settore così delicato.

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