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27 Novembre 2022
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Dopo gli scontri tra ultras di Napoli e Roma si valuta il divieto di trasferta per il tifo organizzato

Photo credit CURTO DE LA TORRE/AFP/Getty Images)

Gli scontri sull’A1 tra ultras napoletani e romanisti continuano a far discutere l’opinione pubblica.

Resta ora da capire se per cercare di dare una soluzione ad un problema che torna ciclicamente a ripetersi si riuscirà a dare risposte non solo concrete, ma in grado di colpire i responsabili e non il tifo genuino.

Il pericolo, infatti, è che ancora una volta si torni a misure indiscriminate, tali da lasciare praticamente inalterato il problema, per poi tornare in breve tempo a mettere la polvere sotto il tappeto, invece di provvedere alla sua definitiva rimozione.

Le proposte già ci sono, ma non vengono mai attuate

Le proposte per cercare di risolvere alla radice il problema sono già da tempo all’attenzione delle istituzioni. Ad esempio, grazie all’avanzamento tecnologico sarebbe possibile provvedere all’identificazione di chi si rende responsabile di atti violenti e contro le normative esistenti nel nostro Paese in tema di ordine pubblico.

Si potrebbe inoltre puntare a responsabilizzare le stesse società di calcio, come avviene in Germania, ove le stesse non solo affidano la sorveglianza negli stadi ai propri steward (in costante collegamento con le forze dell’ordine), ma possono segnalare gli elementi violenti alle autorità per disporne l’allontanamento dallo stadio.

Le ricette adottate fuori dall’Italia sono diverse e possono essere studiate in modo da valutarne l’importazione all’interno delle nostre strutture sportive. Il problema è che si continua a non intervenire in maniera definitiva sulle frange violente del tifo organizzato, disponendone lo scioglimento. Molto spesso questi sedicenti tifosi sono peraltro in stretti rapporti con la politica, cui possono assicurare un notevole bacino di voti.

Foto di Carl Court/Getty Images

La loro presenza, peraltro, sembra il miglior antidoto possibile all’auspicato ritorno delle famiglie negli stadi. Portare oggi i bambini piccoli ad una partita di calcio assomiglia purtroppo ad una vera e propria avventura, cui molti decidono di rinunciare in partenza. E, a giudicare, da quanto accaduto domenica sull’A1, fanno bene.

Vietare le trasferte al tifo organizzato, la proposta torna all’ordine del giorno

Nella discussione in atto, si è andato ad infilare oggi anche Lorenzo Casini, il presidente della Lega Serie A, a margine dell’incontro con DAZN al Ministero delle Imprese e del Made in Itay, cui hanno presenziato i ministri Urso e Abodi.

Dopo aver dichiarato la necessità di contrastare la violenza ed espellerla dallo sport, Casini ha ricordato che le proposte ci sono, a partire proprio dal riconoscimento facciale. Ha però fatto un’aggiunta che sarà il caso di capire meglio, quella relativa alla possibilità di vietare le trasferte per il tifo organizzato.

Si tratta di una proposta di difficile realizzazione proprio per il fatto di andare a colpire indiscriminatamente nel mucchio, con il pericolo che i soggetti pericolosi possano sfuggire alle maglie della rete predisposta, anche grazie alle complicità su cui possono contare gli ultras tricolori.

Il precedente di Fabio Capello non lascia tranquilli

Occorre ricordare ancora una volta come il problema del tifo violento sia una sorta di fiume carsico, in Italia, pronto ad inabissarsi per un certo periodo per poi tornare in superficie a far danni.

A favorirlo sono le connivenze degli ambienti istituzionali, come ricordato da Fabio Capello, allora allenatore della Nazionale inglese, nel 2009. Quando osò affermare che in Italia comandano gli ultras, ricordando quasi un’ovvietà, fu praticamente ricoperto di contumelie. Tra coloro che lo accusarono di provincialismo anche Gianni Petrucci all’epoca presidente del CONI, e Adriano Galliani, potentissimo plenipotenziario del Milan.

Il succo di quella reazione fu individuato da molti proprio nel rapporto tra società e tifo violento e nel potere di ricatto del secondo nei confronti delle prime. Nessuno ha mai voluto affrontare questo incestuoso rapporto e la conseguenza è la mancata risoluzione di un problema che in altri Paesi, a partire dall’Inghilterra, non esiste più o è stato messo ai margini del calcio.

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