“Signore, il suo nome, prego?” “Sono Matteo Messina Denaro”. Sui documenti, però, era Andrea Bonafede.
E così, in pochi minuti, si è conclusa la parabola, durata trent’anni, della primula rossa castelvetranese, il capomafia che, in tanti, hanno cercato di arrestare e che oggi, senza quasi fiatare, ha consegnato i polsi alle manette. Ma nessuno gliele ha messe. Lo hanno portato via tenendolo, semplicemente, per le braccia.
Matteo Messina Denaro era latitante dal 1993
Sarà che ci vuole un fisico bestiale per scappare per trent’anni, e lui non ce l’ha più da un pezzo.
Sarà che ci vogliono un sacco di soldi e, anche se quelli non gli mancano certo, comunque anche per un determinato tipo di mondo, sono tempi duri. Sarà che nessuno è insostituibile e, in trent’anni, un degno erede sarà pur stato partorito e costruito, magari con qualche laurea a coronarne il pedigree.
Sarà che, dopo trent’anni passati a scappare, a nascondersi nei bunker sottoterra come sorci, a cambiare identità di continuo, a non potersi neppure permettere il lusso di una fotografia, sarà che si rischia di non ricordarsi neppure come ci si chiami davvero.
Sarà che, in trent’anni, la tecnologia è cambiata e oggi ci sono sistemi di rilevamento che, negli anni ottanta, potevano solo sembrare fantascienza.
O sarà, semplicemente, che nulla dura per sempre. Neanche la latitanza.
Peppino Linares, capo della Mobile di Trapani: gli ha dato la caccia per 14 anni
In tanti hanno cercato, negli anni, di mettergli il sale sulla coda.
Uno su tutti, il vicequestore Giuseppe Linares, l’uomo che, per 14 anni, gli ha dato la caccia senza un attimo di respiro. Peppino Linares, da capo della Mobile di Trapani, ha messo a ferro e fuoco tutta la provincia, arrestando fiancheggiatori, prestanome, famigliari del boss figlio d’arte. Poi Linares fu invitato ad andarsene, almeno a rileggere il verbale delle dichiarazioni che egli stesso rese nel 2015, ufficialmente perché troppo esposto. Il suo lavoro è stato completato oggi dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, con la collaborazione dei carabinieri del Ros.
L’arresto alla clinica palermitana La Maddalena
Tenevano d’occhio da un po’ la clinica privata La Maddalena, a Palermo, dove Matteo Messina Denaro era stato operato un anno fa e dove, da allora, si sottoponeva a sedute di chemioterapia in day hospital. E farsi chiamare Andrea Bonafede non è servito a molto.
Oggi i carabinieri avevano già circondato il perimetro della clinica e, quando si sono avvicinati a lui chiedendogli il nome, ha risposto, seraficamente: “Matteo Messina Denaro”.
Matteo Messina Denaro è stato trasferito in un carcere di massima sicurezza
I particolari e tutti gli altri dettagli sono il sale della conferenza stampa organizzata per il pomeriggio, mentre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha già raggiunto Palermo per portare il ringraziamento del governo ai magistrati e alle forze dell’ordine che, esattamente 30 dopo l’arresto di Totò Riina (15 gennaio 1992, ndr), hanno messo le manette ai polsi dell’uomo più ricercato d’Italia. Dopo l’arresto, il boss è stato trasferito all’aeroporto palermitano di Boccadifalco, per essere tradotto in un carcere di massima sicurezza.
Arrestato anche l’accompagnatore di Matteo Messina Denaro, con l’accusa di favoreggiamento: si tratta di Giovanni Luppino, di Campobello di Mazara (TP).
Matteo Messina Denaro, figlio d’arte e superlatitante
Nato a Castelvetrano (TP) e figlio del capomafia locale, Ciccio – alleato di ferro dei corleonesi di Totò Riina – Matteo Messina Denaro diviene latitante nel 1993. Lui stesso, in una lettera inviata alla fidanzata dell’epoca, anticipa “Sentirai parlare di me, mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità”. Il curriculum criminale di Matteo Messina Denaro sembra interminabile: decine di omicidi, l’uccisione di Giuseppe Di Matteo, il bimbo prima strangolato e poi sciolto nell’acido per mano di Giovanni Brusca, il coinvolgimento diretto nelle stragi del ’92, in cui morirono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, quelle del ’93 di Milano, Roma e Firenze. Ora dovrà scontare le condanne che ha accumulato negli anni.
In pochi minuti la notizia ha fatto il giro del mondo. Sui social migliaia di commenti
La notizia, in pochi minuti, ha fatto il giro del pianeta: non c’è giornale, sito, agenzia che non riporti il fatto. Anche i social, in queste ore, non fanno altro che ribaltare la notizia, con messaggi di congratulazioni da parte di rappresentanti istituzionali, giornalisti, blogger, opinionisti e gente comune. Le reazioni sono milioni e, al di là delle congratulazioni di rito, si scatena anche la ridda di polemiche inevitabili: “si è praticamente costituito”; “è stata una soffiata, sennò lo prendevano tra altri trent’anni”; “deve curarsi e da latitante non può”… e via con tutto il repertorio.
In realtà, poco importa di che colore sia il gatto: quel che importa, è che prenda i topi.
Forse ciò su cui val la pena, magari, di interrogarsi, è cosa potrebbe succedere ora. O meglio, domani.
Parlerà? Certo, questo è un dubbio che toglierà il sonno ad un bel pezzo dell’Italia che conta, o che contava. E chi lo sostituirà? E questa è un’altra domanda impegnativa. Perché gli arresti eccellenti effettuati in questi trent’anni lo hanno dimostrato chiaramente: per uno preso, ce n’è un altro pronto a farsi avanti. E, anche se non tutti i sostituiti sono uguali, comunque una reggenza è già stata decretata, c’è da starne certi.
Quando Giovanni Falcone diceva “La mafia si può battere perché è un fenomeno umano e tutto quello che è umano ha un inizio ed una fine”, diceva senz’altro il giusto.
Ma eliminare o contrastare un fenomeno è una cosa, estirpare il gene della criminalità dal DNA umano è ben altro. E, per riuscirvi, non sono bastati 10 mila anni di civiltà. L’unica consolazione è che per quanti siano i criminali, ci sarà sempre qualcun altro che darà loro la caccia e che, alla fine, i cattivi perdono sempre.
Oggi, a perdere è stato Matteo Messina Denaro.