In questo articolo avevamo già raccontato i possibili danni all’economia se non si avvia subito una fase di de-escalation.
La recente escalation militare tra Israele e Iran mette nuovamente in evidenza il fortissimo rischio di una chiusura dello Stretto di Hormuz, uno dei passaggi marittimi più strategici al mondo.
Per gli imprenditori italiani che esportano, questa minaccia si traduce in un rischio concreto per le catene di approvvigionamento, i costi delle materie prime e la stabilità dei mercati globali.
Perché lo Stretto di Hormuz è cruciale?
Lo Stretto di Hormuz collega il Golfo Persico al Golfo dell’Oman ed è il punto di transito per circa il 30% del petrolio commerciato via mare a livello mondiale. Ogni giorno, milioni di barili di greggio passano da qui, rifornendo mercati chiave come Europa, Asia e Stati Uniti. Una sua chiusura o anche solo un’interruzione temporanea potrebbe far schizzare il prezzo del petrolio fino a 120-150 dollari al barile, un livello che non si vedeva da anni.
Per farvi rendere conto dell’impatto che potrebbe avere la chiusura dello Stretto di Hormuz vi mostriamo questo screen delle 11.30 del 15 giugno, da Vessel Radar; in evidenze le navi “commerciali” che attualmente sono in navigazione in quell’area.
Impatti diretti sull’economia globale e sull’export
Un aumento così drastico del costo del petrolio ha effetti a catena su tutta la filiera produttiva e distributiva:
- Aumento dei costi di produzione e trasporto: Le imprese italiane, soprattutto quelle manifatturiere e agroalimentari, vedrebbero crescere i costi energetici e logistici, riducendo la competitività sui mercati esteri
- Inflazione e stagflazione: L’incremento del prezzo dell’energia si riflette su tutte le materie prime, dal gas naturale ai fertilizzanti, alimentando un’inflazione globale che può rallentare la domanda e mettere in crisi la crescita economica
- Interruzioni nelle catene di approvvigionamento: Lo Stretto di Hormuz è solo una delle “strozzature” (choke points) marittime fondamentali. Il blocco di più di uno di questi passaggi, come lo Stretto di Bab el-Mandeb o i canali di Suez e Panama, potrebbe causare ritardi e carenze di merci, con impatti fino a 34 miliardi di dollari sul PIL mondiale.
Cosa significa per gli imprenditori italiani?
Per chi esporta, la volatilità dei prezzi energetici e le possibili interruzioni nelle rotte marittime rappresentano un doppio rischio:
- Costi imprevisti: L’aumento del prezzo del petrolio si traduce in costi maggiori per il trasporto marittimo e aereo, che spesso si riflettono in prezzi finali più alti o margini ridotti.
- Incertezza sui mercati esteri: Le tensioni geopolitiche generano instabilità finanziaria e volatilità dei cambi valutari, complicando la pianificazione commerciale e gli investimenti.
Strategie per affrontare il rischio
In questo contesto, è fondamentale per le imprese italiane:
- Diversificare i mercati di esportazione per non dipendere eccessivamente da aree a rischio
- Investire in efficienza energetica e fonti rinnovabili per ridurre la vulnerabilità ai prezzi del petrolio
- Monitorare costantemente la situazione geopolitica e collaborare con associazioni di categoria e istituzioni per anticipare e gestire le crisi.
Le nostre considerazioni.
La guerra tra Israele e Iran e la minaccia di chiusura dello Stretto di Hormuz rappresentano un serio campanello d’allarme per l’economia globale e per le imprese italiane orientate all’export. La stabilità delle rotte marittime è un pilastro imprescindibile per il commercio mondiale: ogni interruzione rischia di tradursi in costi più alti, inflazione e rallentamento economico. Per gli imprenditori, la parola d’ordine è preparazione e resilienza, per navigare in acque sempre più turbolente.
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