I casi di cronaca degli ultimi giorni, ma anche le indagini più recenti, delineano un quadro sociale alquanto desolante sulla violenza che s’innesta nei legami di coppia, soprattutto tra i più giovani.
Va precisato in prima istanza che vittime della violenza di genere sono sia donne che uomini, che pur possono essere soggetti a stereotipi legati al concetto di mascolinità.
In questa sede però abbiamo ritenuto opportuno, anche in concomitanza dell’anniversario di morte di Giulia Cecchettin, riportare nuovamente l’attenzione sull’importanza di riconoscere segnali che indicano la presenza di un legame nocivo soprattutto quando le vittime sono ragazze.
Per gli adolescenti le difficoltà sono maggiori, perché incertezza e fragilità, che caratterizzano questa fase della vita, li rendono più vulnerabili e meno lucidi.
Ecco allora che la figura del genitore diventa imprescindibile, non solo per proiettare sui figli modelli di comportamento positivo, ma anche per invogliarli ad aprirsi e a comprendere quando è arrivato il momento di chiudere una relazione e, laddove è opportuno, denunciare.
Un anno dopo la morte di Giulia Cecchettin.
L’11 novembre scorso la tragica morte di Giulia Cecchettin arrivava nelle nostre case segnando uno spartiacque, cioè un prima e un dopo, che ci ha messo nelle condizioni di dover fare i conti con la terribile e ormai consolidata realtà della violenza di genere.
Ciò è accaduto soprattutto grazie al coraggio e alla personalità di sua sorella Elena, che per prima ha rotto il muro del silenzio, chiedendo a gran voce di “bruciare tutto”, affinché la morte di Giulia non si trasformasse soltanto nell’ennesimo numero in aggiunta alla triste statistica dei femminicidi del 2023.
Gli interventi di Elena e di suo padre Gino hanno trasformato il dolore privato della famiglia in un dolore collettivo. In Giulia – giovane donna prossima alla laurea con passioni, ambizioni e sogni – ognuno di noi ha intravisto una figlia, un’amica, una sorella.
Mobilitazioni, fiaccolate e commemorazioni in ricordo di Giulia hanno portato all’approvazione, il 24 novembre scorso, del disegno di legge contro la violenza sulle donne, con l’obiettivo di prevenire episodi di violenza e tutelare maggiormente le vittime.
Eppure, a distanza di un anno le notizie di cronaca riportano in auge un’efferata violenza che coinvolge sempre più le giovani donne, vittime di fidanzati o ex incapaci di riconoscere la loro libertà individuale o di accettare la fine di una relazione. Altrettanto preoccupanti sono le convinzioni che gli adolescenti nutrono rispetto a dinamiche pericolose, che talvolta vengono riconosciute da entrambe le parti come normali.
Relazioni tossiche: gli adolescenti non sanno riconoscerle.
Solo qualche giorno fa, un’indagine condotta dalla Fondazione Libellula, rivolta a ragazzi tra i 14 e i 19 anni, ha rivelato dati preoccupanti sulla percezione che gli adolescenti hanno della violenza di genere:
- 4 adolescenti su 10 pensano che lo stalking non sia una violenza;
- 1 adolescente su 5 non considera una forma di violenza baciare o toccare qualcuno senza il suo consenso;
- per il 38% dei ragazzi ed il 18% delle ragazze il rifiuto del partner va inteso invece come un “sì”;
- il 56% dei ragazzi ed il 32% delle ragazze interpretano la gelosia come segno di affetto;
- il 14% dei ragazzi ed il 2% delle ragazze ritengono che obbligare una persona ad avere un rapporto sessuale non sia violenza.
Il quadro che emerge da questa raccolta ci proietta in una dimensione a dir poco drammatica. Dinamiche malsane e nocive, frutto di un retaggio atavico in cui la donna è ancora sottomessa all’uomo e non può godere degli stessi diritti, sono considerate tra i giovani modalità “naturali” di relazionarsi.
In molti casi, dunque, fa giocoforza proprio nelle ragazze l’incapacità di riconoscere la differenza tra una relazione tossica ed una sana.
Come capire se i figli vivono una relazione tossica: segnali visibili e invisibili.
Pur riconoscendo ai giovani il diritto di sbagliare, riteniamo che un genitore che nutra sospetti su una possibile relazione tossica del figlio/a sia chiamato ad intervenire per offrire il suo supporto. Prima di fare ciò, si presenta la necessità di riuscire a leggere i comportamenti dell’adolescente.
Questa procedura non è affatto semplice, dal momento che molto spesso i meccanismi su cui si basano tali relazioni tendono nel tempo a lasciare fuori chiunque cerchi di mettere in discussione il rapporto. Si consideri poi che se la violenza fisica è visibile, quella psicologica è molto più insidiosa e difficile da carpire.
Anche laddove l’adolescente che subisce i soprusi fisici e morali trova la forza di mettere in dubbio alcuni comportamenti del partner, quest’ultimo tende spesso a fare leva sulla sua sensibilità e ad assumere atteggiamenti che lo inducono alla vergogna o al senso di colpa.
Il disagio e la sofferenza che ne derivano spingono la vittima ad assumere un atteggiamento di chiusura verso il mondo esterno, e in primis verso i genitori.
Una condizione di malessere scaturita da un rapporto nocivo, però, può anche manifestarsi con segnali più definiti. L’assoggettamento dell’uno ai desideri esclusivi dell’altro provoca, infatti, in chi lo vive uno stato di ansia e angoscia perenne. Ci si sente sempre in dovere di dimostrare il proprio amore e, pertanto, si vive oppressi dalla necessità di rispondere tempestivamente a chiamate e messaggi, così come di comunicare ogni spostamento.
Le ragazze, in particolare, che fanno esperienza di questa condizione possono andare incontro anche a cambiamenti di altro genere, che interessano ad esempio il modo di vestirsi o relazionarsi agli altri. Vi è poi un’attitudine a rinunciare alle attività che non prevedono la presenza del partner o non siano approvate da quest’ultimo.
Il genitore deve poi soffermarsi anche sulla comunicazione non verbale, giacché tristezza, paura e turbamento degli adolescenti possono manifestarsi anche in altri modi: insonnia, disturbi dell’alimentazione, sbalzi d’umore etc…
Tutti questi elementi insieme rappresentano un campanello d’allarme importante per il genitore che è chiamato a proteggere e tutelare la salute dei figli.
Come aiutarli a riconoscere e porre fine ad una relazione tossica?
Sembra scontato, ma è sempre bene ribadire che gli adolescenti che vivono in famiglie ove predominano ricatti emotivi, abusi, dipendenze, sensi di colpa e manipolazioni tendono a sviluppare relazioni “affettive” malsane.
Il primo punto di partenza, dunque, è ricordarsi che il rispetto verso se stessi e gli altri non si trasmette raccomandando ai figli di seguire dei buoni precetti, ma incarnandoli in prima persona. Per dirla con San Francesco di Sales: “un grammo di buon esempio vale più di un quintale di parole.”
In una famiglia in cui non vi sono differenze di genere e si aiutano i figli a costruire un’adeguata autostima, vi sono già le basi per far sì che anche al di fuori del contesto familiare si sviluppino relazioni sane e positive.
Anche quando questa condizione sussiste, però, può capitare che in un momento di fragilità i ragazzi cadano nella trappola delle relazioni tossiche. Se il contesto familiare è equilibrato, diventa più semplice costruire un dialogo tra genitore e figlio e, attraverso la comunicazione, anche un rapporto di fiducia.
È importante non giudicare, ma mostrarsi disponibili e interessati all’ascolto, cercando anche di assumere il punto di vista dell’adolescente. Questo è il primo passo per comprendere le sue paure e non farlo sentire solo.
Nella vita di ogni ragazzo/a, infatti, gesti e parole sono amplificati ed è auspicabile che si parli delle loro emozioni e sentimenti con la dovuta “delicatezza” e senza banalizzare. Allo stesso modo è doveroso porre l’accento sul fatto che l’amore non si esprime mai attraverso atti di violenza fisica e psicologica.
Può essere utile anche raccontare loro di esperienze personali di grande sofferenza, che magari sembravano impossibili da superare e dalle quali si è usciti vittoriosi. Infine, occorre portarli a conoscenza della possibilità di ricevere un supporto immediato non solo familiare, ma anche da professionisti del settore, se necessario.
Il ruolo della società: cosa si è fatto e cosa c’è da fare.
L’idea di non dover affrontare da soli il percorso di “liberazione” dal partner nocivo, così come sentirsi amati e la consapevolezza di poter sempre contare su qualcuno disposto ad ascoltare, sono tutti fattori che innescano una presa di coscienza nell’adolescente. Ora egli è pronto anche a lasciarsi aiutare maggiormente dal genitore, che può costruire con il supporto degli amici, della scuola, dei vicini di casa e dei medici una rete solidale. A questo punto, però, anche la società deve fare la sua parte.
Nei casi più gravi, i genitori possono indirizzare i figli a sporgere denuncia e ad affiancarli in tutta la procedura, ma è necessario che le istituzioni intervengano in modo tempestivo. Oggi è possibile ricevere anche un sostegno psicologico e giuridico, grazie ai centri antiviolenza e stalking a sostegno delle donne, raggiungibili chiamando al numero 1522.
Questo però non basta, gli stereotipi sociali sono difficili da scardinare. Pensiamo a quanto sia deplorevole e anche diffuso il fenomeno del victim blamig, cioè della colpevolizzazione della vittima.
Si verifica quando la società tende a giustificare l’autore della violenza fisica o psicologica, ritenendo che sia la vittima con i suoi atteggiamenti “sconvenienti” ad aver suscitato la rabbia del partner. In quella “sconvenienza” rientrano soprattutto gli stereotipi di genere che relegano la donna ad un ruolo ben preciso, quello di subordinazione all’uomo che, invece, è tenuto ad esercitare un certo controllo su di lei.
In conclusione, nonostante il dibattito sulla violenza sia stato centrale in Italia nell’ultimo anno, i dati dimostrano che il lavoro da portare avanti per mettere fine all’ondata di violenza di genere è ancora lungo e tortuoso.
In questo percorso però è certo che ognuno di noi possa apportare nel suo piccolo un grande contributo sia imparando a riconoscere la violenza sia sostenendo chi ne è vittima. Per questo le figure genitoriali, soprattutto per i figli adolescenti, assumono, come appurato, un ruolo cruciale, e talvolta possono persino fare la differenza la tra vita e la morte.
Direttrice Editoriale Giuseppina Di Luna