Era stato annunciato qualche mese fa dal Wall Street Journal, ma la notizia è destinata comunque a provocare sensazione: Jack Ma ha rinunciato al controllo del colosso cinese Ant Group e, quindi, di Alibaba Group Holding Ltd, cui è affiliata.
A rilasciare l’annuncio è stata la stessa società spiegando che la sua struttura azionaria verrà modificata facendo così in modo che il suo fondatore non possa più esercitare il controllo del gigante Fintech asiatico.
In precedenza Jack Ma riusciva a controllare oltre la metà del capitale azionario di Ant, nonostante ne detenesse solo il 10%, grazie alle tante entità collegate. La notizia relativa alla cessione del controllo da parte di Ma giunge in contemporanea con la fine del laborioso processo di ristrutturazione di Ant. Un iter lungo due anni, nel corso dei quali l’azienda è stata anche multata di un miliardo di dollari, sulla base della normativa esistente nel gigante asiatico e varata nel preciso intento di dare un giro di vite sui giganti tecnologici, con un taglio di ricavi e profitti tale da ridurre il loro valore nell’ordine di centinaia di miliardi di dollari.
Perché Pechino ha fermato Jack Ma ( e non solo)
Perché il governo cinese ha fermato la corsa di Jack ma e delle Big Tech cinesi? Il motivo è molto semplice e, in fondo, simile a quello che ha spinto del resto il governo statunitense a mettersi di traverso sulla strada della progettata criptovaluta di Facebook: impedire che queste aziende possano diventare un vero e proprio contropotere.
Occorre in effetti ricordare che anche Alibaba e company hanno cercato in precedenza di allargarsi alla finanza. L’azienda di Jack Ma, in particolare, lo ha fatto esercitando abusivamente l’attività attraverso due banche locali tanto da spingere il governo di Pechino a convocarlo per un incontro a porte chiuse. La risposta di Ma è stata abbastanza improvvida: durante un summit finanziario svoltosi a Shanghai, alla fine del 2020, aveva accusato le autorità bancarie di procedere secondo schemi ormai vecchi.
Una mossa che si è rivelata ben presto un boomerang, alla luce della decisione dell’esecutivo di operare una netta separazione tra le attività produttive e quelle finanziarie, ovvero la gran parte dei profitti delle grandi aziende tecnologiche, non solo cinesi.
Da questo momento Jack Ma è diventato un nemico vero e proprio, in quanto visto come il portatore di una visione completamente opposta a quella di Pechino, tendente a fare delle aziende una sorta di contrappeso al potere centrale. Concezione che, del resto, anche nel tempio del capitalismo, gli Stati Uniti, provoca ormai reazioni di palese rigetto, come accaduto nel caso di Facebook.
Cosa accadrà ora
La messa in disparte di Ma significa in pratica una semplice cosa: il governo cinese non ha alcuna intenzione di buttare il bambino con l’acqua sporca. Le Big Tech locali sono una grande realtà economica la quale deve essere assolutamente tutelata, ma al tempo stesso controllata in modo tale da evitare che le aziende possano cullare illusioni pericolose.
Occorre ricordare come al commercio elettronico sia al momento ascrivibile un terzo circa del PIL cinese, rappresentando quindi una realtà ormai impossibile da ignorare. Anche perché queste infrastrutture digitali possono risultare assolutamente fondamentali per portare a termine con successo il progettato yuan digitale. Ovvero la Central Bank Digital Currency (CBDC) con cui Xi Jinping intende portare il decisivo assalto al potere imperiale del dollaro.
A Jack Ma non resta quindi che avviarsi verso una pensione dorata, nel corso della quale potrà riflettere su quanto fosse azzardato il pensiero di fare della propria creatura una sorta di Stato parallelo. Un’idea che dalle parti di Pechino può in effetti costare molto caro.