La nuova immagine dallo spazio parla anche italiano: i nostri ricercatori nel team che ha pubblicato la foto che conferma la teoria di Einstein
La clamorosa conferma della teoria della relatività generale espressa da Albert Einstein arriva da Event Horizon Telescope, la collaborazione scientifica che, da tempo, tiene sotto stretta osservazione quanto accade nello spazio, cui si è aggiunto il Greenland Telescope: il risultato delle analisi e delle nuove immagini – che stanno facendo il giro del mondo in queste ore – sono state pubblicate sulla rivista Astronomy & Astrophysics.
M87*, il buco nero osservato speciale: da un primato all’altro
La nuova foto presenta una lieve variazione nella luminosità ed è proprio questo particolare a confermare la teoria della relatività generale formulata dal fisico tedesco Albert Einstein nel novembre del 1915 e che, in parole semplici, ci dice che la presenza di oggetti pesanti, come stelle e pianeti, fa sì che lo spazio intorno a loro si modifichi, come un tappeto sotto un peso.
Questa piegatura dello spazio influenza il modo in cui gli oggetti si muovono, creando ciò che noi percepiamo come gravità, in grado di agire a distanza e che diviene il risultato della deformazione dello spazio stesso. Insomma, questa sarebbe l’idea di base della relazione tra massa, gravità e deformazione dello spazio-tempo, in una condizione quadridimensionale e restituisce un’immagine dell’universo come di un grande tappeto elastico che si piega sotto la presenza della massa, guidando il moto degli oggetti celesti.
Il fenomeno immortalato e appena pubblicato è il frutto di un’osservazione che non dura certo da poco: si tratta, infatti, di analisi condotte nell’aprile del 2018, ad un anno di distanza rispetto a quelle condotte nello stesso mese del 2017 e pubblicate due anni dopo, nel 2019, con strumenti aggiornati che “offrono una visione della sorgente indipendente dalle osservazioni del 2017” – si legge in una nota dei ricercatori italiani.
La ricerca spaziale parla italiano
Eh già, ricercatori italiani, proprio così: perché nella squadra della HTE che ha ottenuto la nuova foto del buco nero M87* – il primo ad essere immortalato – fanno parte anche gli scienziati dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e i ricercatori delle università di Cagliari e Federico II di Napoli.
“Abbiamo utilizzato diversi algoritmi di imaging e tecniche di modellizzazione per ottenere questa nuova ricostruzione indipendente di M87*“, rileva Rocco Lico, dell’Inaf, affiliato all’Instituto de Astrofísica de Andalucía e che nella collaborazione Eht coordina il gruppo di lavoro sui nuclei galattici attivi. “Questo risultato rappresenta il primo sforzo per esplorare i molti anni di dati aggiuntivi che abbiamo raccolto,” fa eco Mariafelicia De Laurentis, deputy project scientist della collaborazione Eht, docente all’Università Federico II e ricercatrice dell’Infn. “Oltre al 2017 e al 2018, l’Eht – prosegue – ha condotto osservazioni di successo nel 2021 e nel 2022 e ha in programma osservazioni nella prima metà del 2024.
M87* è il buco nero cuore della galassia gigante Messier 87, distante 55 milioni di anni luce dalla Terra: la nuova foto mostra un anello luminoso delle stesse dimensioni di quello che è stato osservato nel 2017, tutt’intorno ad una depressione al centro, definita “ombra del buco nero” e considerata nella teoria di Einstein: la differenza sta tutta nello spostamento del picco di luminosità dell’anello, che sposa le nuove teorie sulla variabilità dei corpi in movimento intorno ai buchi neri.
In precedenza, M87* era stato ripreso mentre era in corso una perdita di energia, a causa del campo magnetico che ne rallentava la rotazione su sé sesso, trascinandosi dietro anche il “tessuto” dello spazio -tempo in prossimità. Nel novembre scorso, però, un’altra immagine – ottenuta da Eht nel 2021 – aveva dimostrato che il campo magnetico di M87* sarebbe abbastanza forte da impedirgli di divorare anche la materia vicina.
L’enorme spada laser di Jedi
Una successiva analisi dell’immagine ha, poi, rivelato che lo stesso campo magnetico sarebbe stato responsabile anche del rallentamento della rotazione del buco nero, come una trottola che tendesse a decelerare, con l’energia residua, emessa durante l’azione auto-frenante, che si allontana attraverso la direzione del campo magnetico (sempre quello), fino a raggiungere – in teoria – un altro buco nero.
Tra le ipotesi formulate da scienziati e ricercatori è che il flusso di energia emesso da M87* abbia potuto alimentare il getto di plasma fuoriuscito – la tendenza sarebbe variabile su un ciclo di 11 anni – rendendolo simile “a spade laser di Jedi – spiegano i ricercatori – lunghe milioni di anni luce” in grado di percorrere distanze fino a 10 volte la lunghezza della Via Lattea.
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